Di cosa si parla quando vengono usati i termini “sindrome navicolare”, “sindrome podotrocleare”, “navicolite” o “podotrocleite”?
Il termine “navicolite”, senza dubbio il più comune dei quattro, tecnicamente indica l’infiammazione dell’osso navicolare e delle strutture circostanti, ma nell’uso comune il suo significato è diventato confuso ed impreciso, e a seconda di chi lo usa, può indicare vari tipi di patologia.
Per questo, in mancanza di una diagnosi certa, che solitamente richiede almeno una serie di radiografie o idealmente una risonanza magnetica, sarebbe più corretto parlare di “sindrome navicolare” o “sindrome podotrocleare”.
Di fatto, l’area circostante l’osso navicolare, ovvero il sesamoide distale che forma parte dell’articolazione interfalangea distale, può soffrire di vari processi patologici, con cause, strutture interessate e conseguenze differenti a seconda dei casi.
Sintomi e trattamento della Navicolite
A causa della limitata specificità dei sintomi, spesso è difficile stabilire con precisione quale sia il processo patologico in atto, e negli ultimi decenni la comunità veterinaria si è trovata spesso divisa in merito all’eziologia e ai trattamenti da seguire per questa patologia.
Nel tempo sono state proposte numerose teorie e sperimentati molteplici approcci sia di tipo farmacologico che ortopedico, con risultati molto variabili.
Di fatto, fino a pochi anni fa, l’opinione più diffusa era che si trattasse di un processo degenerativo ereditario pressochè inarrestabile, proprio a causa della difficoltà nell’individuare cause e terapie.
Negli ultimi anni c’è stata una parziale rivalutazione di queste convinzioni, anche grazie allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche, soprattutto nell’ambiente “barefoot”.
Tutto questo mi ha portato alla convinzione che, come anche in altri casi, sotto il termine “sindrome navicolare” in realtà si nasconda una piccola galassia di patologie differenti, più o meno strettamente imparentate tra loro ma con cause e processi patogeni leggermente diversi tra loro.
Le problematiche più frequenti
Personalmente distinguo tra almeno 7 differenti problematiche che spesso vengono accorpate sotto “l’etichetta” navicolite/sindrome navicolare.
In ordine approssimativo di gravità:
marciume del fettone (in casi estremi e di lunga durata);
area caudale del piede atrofica/sottosviluppata;
barre contratte che premono sul Tendine Flessore Profondo e sulla borsa navicolare;
infiammazione delle superfici di scorrimento tra TFP e osso navicolare;
superfici di scorrimento irruvidite a causa di sovraccarico e infiammazione cronici;
compromissione della perfusione dell’osso navicolare a causa di danni ai legamenti e vasi sanguigni;
riassorbimento osseo all’interno o sulla superficie del navicolare/artrosi dell’articolazione P2/P3.
Le prime due non riguardano direttamente l’osso navicolare o l’articolazione interfalangea distale, ma possono dare sintomi abbastanza simili e occasionalmente vengono sottovalutati come causa di zoppia.
Mentre le prime 4 problematiche sono, almeno teoricamente, reversibili, le ultime 3 rappresentano un danno irreversibile alle delicate strutture del “dito” equino.
Per questo motivo, poter intervenire precocemente alle prime avvisaglie del problema aumenta notevolmente le probabilità di successo.
Più tempo passa, e più aumenta la probabilità che i danni diventino irreversibili.
Di conseguenza, in assenza di una diagnosi ben definita su quali siano le strutture compromesse e quale sia l’entità del danno, è impossibile stabilire a priori se vi sia la possibilità di migliorare lo stato di salute dell’arto.
La strategia che adotto in questi casi è di cercare di ripristinare la miglior meccanica possibile e osservare i cambiamenti nel tempo dei sintomi.
Le cause della Navicolite
Per quanto riguarda le cause del problema, nella maggior parte dei casi in cui risulti realmente coinvolto l’osso navicolare, quasi sempre si può individuare una storia di sovraccarico o traumatismo ripetuto all’articolazione interfalangea distale.
Entrano quindi in gioco almeno 4 fattori:
attività svolta;
conformazione del cavallo;
stato di salute e manutenzione dei piedi;
stile di vita complessivo.
Per quanto riguarda il tipo di attività, il rischio ovviamente aumenta al crescere dell’intensità degli sforzi che deve sostenere l’arto distale. Tra gli sport più a rischio c’è senza dubbio il salto ostacoli, ma è possibile trovare cavalli con problemi al navicolare in quasi tutte le discipline.
Infatti, l’attività richiesta al cavallo rappresenta solo uno dei fattori coinvolti, e a parità di altre condizioni, la manutenzione dello zoccolo gioca un ruolo fondamentale.
Intervalli “economici” ed eccessivamente lunghi tra i pareggi o le ferrature, pareggi approssimativi che riducano l’angolo palmare/plantare al di sotto del range fisiologico, “breakover” eccessivamente avanzato (le “punte lunghe”), marciume profondo del fettone, contrazione dei talloni, atterraggio di punta ecc. sono tutti elementi che aumentano drasticamente gli sforzi/traumatismi sostenuti dal TFP e dall’osso navicolare.
Se prolungato nel tempo, ciascuno di essi può portare a una o più delle forme patologiche descritte in precedenza.
Per quanto riguarda lo stile di vita, è noto e risaputo che lunghi periodi di immobilità sono nocivi per tutte le articolazioni in quanto portano alla rottura del film di liquido sinoviale che dovrebbe impedire il contatto diretto tra cartilagini o cartilagini e tendini.
Di conseguenza, la stabulazione in box rappresenta intrinsecamente un notevole fattore di rischio per l’artrosi in generale e per i problemi al navicolare in modo particolare, soprattutto laddove porti a comportamenti stereotipati come il “ballo dell’orso”.
La miglior prevenzione da questo punto di vista consiste nel garantire al cavallo spazi adeguati dove potersi muovere per tutto l’arco della giornata, idealmente 24/24H, insieme ad altri cavalli.
Il processo di Riabilitazione
A differenza di altre problematiche, la riabilitazione dalla “sindrome navicolare” spesso non offre cambiamenti facilmente rilevabili visualmente.
Nel corso degli anni ho avuto modo di lavorare su cavalli diagnosticati come “navicolitici”, ottenendo miglioramenti notevoli su alcuni di essi mediante l’utilizzo di scarpette e plantari.
In molti altri casi la situazione è rimasta stabile per molti anni, e solo su una minoranza dei cavalli c’è stato un progressivo peggioramento dei sintomi.
Considerata la complessità del problema e la difficoltà nello stabilire con precisione lo stato iniziale, mi ritengo soddisfatto di ciò che sono riuscito ad ottenere finora in questo ambito.