Nella mia esperienza, la biologia evolutiva è uno degli strumenti più potenti a nostra disposizione per comprendere il mondo che ci circonda. Dalla microbiologia alla psicologia umana, qualsiasi aspetto di qualunque essere vivente diventa più facile da studiare e capire se analizzato alla luce della sua storia evolutiva e delle interazioni tra l’organismo e l’ambiente a cui si è adattato.

Per questo trovo fondamentale avere le idee abbastanza chiare sulla biologia del cavallo, ed in particolare sulla sua evoluzione.

Un aspetto che crea una certa confusione su molteplici punti, è il fatto che gran parte dell’evoluzione del cavallo, i cui primordi “tracciabili” risalgono a circa 45 milioni di anni fa, è avvenuta nel continente nordamericano.

Solo attorno a 50’000 anni fa, durante l’ultima glaciazione, il cavallo ha colonizzato il continente eurasiatico, stabilendovisi permanentemente. Successivamente, grossomodo tra 18 e 15’000 anni fa, alla fine del Pleistocene, la popolazione nordamericana è stata portata all’estinzione, insieme a numerose altre specie di grandi mammiferi, durante la prima ondata di colonizzazione delle Americhe da parte dell’essere umano.

Nei successivi 15’000 anni, il cavallo è stato assente dal continente nordamericano, venendo reintrodotto solo a seguito dell’arrivo dei conquistadores spagnoli, dopo il 1492.

La rapida diffusione e moltiplicazione del cavallo dal momento della sua reintroduzione, è prova del fatto che il cavallo rimane sostanzialmente un animale nordamericano.

Nel corso di questi 45 milioni di anni, il cavallo e i suoi antenati hanno dovuto adeguarsi a numerosi cambiamenti nell’ambiente che li circondava, crescendo dalle dimensioni di un cane a quelle odierne, riducendo il numero di dita per piede da 5 a 1 e passando dalla brucazione (ovvero l’ingestione di frutti, foglie, germogli, cortecce ecc.) al pascolamento per soddisfare le sue esigenze nutrizionali e diventando un animale gregario.

Tutto ciò probabilmente fu dettato da cambiamenti ambientali che portarono ad un aumento dell’estensione delle praterie a spese delle aree boscose, rendendo vantaggiosi questi adattamenti.

Da tutto ciò possiamo facilmente dedurre che dal punto di vista biologico, l’Europa occidentale NON è l’ambiente naturale del cavallo. Gran parte della sua evoluzione (il 99,9%, grossomodo) infatti ha avuto luogo in Nordamerica.

L’implicazione più importante, ma non l’unica, è che quello che noi europei percepiamo come ambiente “naturale”, di fatto non è esattamente l’ideale per i nostri cavalli.

Se osservate con attenzione l’ambiente in cui vivono i cavalli ripresi in questo filmato, dovreste notare facilmente alcune delle differenze rispetto al Nord e Centro Italia (e gran parte d’Europa):

Altrettanto interessante da osservare, è lo stato di salute di questi cavalli: agili, ben muscolati e pieni di energia.

Grandi estensioni di verdi e succosi pascoli sono praticamente assenti nel suo ambiente d’origine. La composizione dei terreni, la vegetazione e quindi i contenuti nutrizionali di ciò che mangia, sono notevolmente diversi da ciò che può trovare in Europa.

Anche la bassa densità di foraggio per unità di superficie è una caratteristica importante: per poter trovare la quantità necessaria a sopravvivere, un cavallo deve muoversi costantemente per circa 18 ore al giorno, ingerendo continuamente piccole quantità di cibo e percorrendo decine di km.

Il suo apparato digerente, dalla dentatura agli enzimi digestivi che produce, così come il suo metabolismo, sono adattati perfettamente a processare questo flusso pressoché costante di materia vegetale fibrosa. La sua saliva non contiene amilasi, i grandi molari sono adatti a triturare steli coriacei, lo stomaco secerne costantemente succhi gastrici (a prescindere che entri cibo o meno), ha un’ottima capacità di assimilare i pochi grassi contenuti nella vegetazione e il suo intestino (soprattutto cieco e colon) ospita miliardi di batteri in grado di digerire la fibra trasformandola in acidi grassi, vitamine e aminoacidi assimilabili dal cavallo.

Il costante movimento garantisce un alto livello di igiene, un basso carico parassitario (dato che il cavallo si infesta pascolando dove altri cavalli hanno defecato), un basso rischio di coliche, il mantenimento in salute di tendini e articolazioni ecc.

Anche per quanto riguarda lo sviluppo del puledro, il movimento gioca un ruolo fondamentale.

Dovrebbe quindi diventare evidente l’esigenza, apparentemente paradossale, di gestire “artificialmente” l’ambiente in cui vivono i nostri cavalli per renderlo più simile al suo ambiente evolutivo. Il fieno somiglia molto più a ciò che troverebbe un cavallo in natura che non un prato verde e lussureggiante. Il fatto che venga tagliato dalla falciatrice tuttavia fa sì che gli incisivi del cavallo non lavorino quanto previsto e richiedano di essere periodicamente accorciati per tenerli al pari dei molari che invece lavorano a pieno regime. Se il cavallo non ha spazio e compagnia che gli permettono e lo invogliano a muoversi, dovrebbe essere fatto lavorare regolarmente. Non è la stessa cosa, ma aiuta. Non inizio nemmeno a parlare di etologia.

Si potrebbe andare avanti per ore.

Il concetto di fondo che spero di essere riuscito a trasmettere, è che conoscere ed osservare il Vostro cavallo dal punto di vista della sua biologia, può aiutarvi a capirlo meglio, a dargli le migliori condizioni per avere una vita lunga e sana, e fargli esprimere al meglio il suo potenziale atletico.

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Igiene del Cavallo