Quando si parla di “barefoot” (letteralmente, “scalzo”) in ambito equestre, ciò implica in realtà una serie di concetti che vanno ben oltre la semplice rimozione dei ferri. L’idea di fondo è di cercare di fornire al cavallo condizioni di vita quanto più simili possibile a quelle del suo “ambiente evolutivo”, ovvero le praterie del mid-west e le aree semiaride del sud-ovest degli Stati Uniti.
Questa idea nasce dalle osservazioni fatte sulle popolazioni di cavalli bradi ancora presenti in queste aree, caratterizzate da una forma fisica invidiabile e un’incidenza estremamente limitata delle due patologie più letali nel cavallo domestico: la colica e la laminite.
Purtroppo, negli anni passati, molti in Italia, per vari motivi, hanno confuso una corretta gestione “barefoot” con la sola rimozione dei ferri, ottenendo di conseguenza risultati mediocri o deludenti.
Una vera gestione “barefoot” prevede come minimo la presenza di 3 elementi chiave:
vita di branco e socializzazione;
spazi adeguati e igiene;
alimentazione basata su foraggi e bilanciata correttamente secondo le linee guida NRC.
Paradossalmente, la rimozione dei ferri è un aspetto marginale della gestione naturalizzata o “barefoot” e molti dei benefici per la salute attribuiti all’assenza dei ferri sono in realtà spesso dovuti in buona parte agli altri fattori. La rimozione dei ferri, che si tratti di una scelta temporanea o definitiva, spesso consente al piede di riguadagnare in salute e robustezza, ma solo se sono garantite le altre condizioni.
Sferrare il cavallo se non sono garantite almeno in buona parte le condizioni sopraelencate, di solito è inutile e talvolta controproducente.
Al contrario invece, garantire tutte le condizioni per una gestione naturalizzata a un cavallo ferrato può portare notevoli benefici fisici e psicologici, come ad esempio la riduzione o scomparsa di stereotipie, zoppie, dolori muscolo-scheletrici ecc.